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Literary Research/Recherche littéraire 17.34 (Fall - Winter / automne - hiver, 2000) 450-2 


 

Nicola Gardini, L’antico, il nuovo, lo straniero nella lirica moderna – esempi da una storia della poesia. Milano: Edizioni dell’Arco, 2000. Lire 29.000

 

Si tratta di una storia della poesia decisamente insolita; l’autore indaga il rapporto tra nuovo e antico nella lirica moderna e contemporanea nell’intento di eliminare vecchi pregiudizi culturali e critici e di riscoprire autori stranieri e italiani molto validi e dotati di talento ma ingiustamente dimenticati perché estranei ai canoni letterari dominanti. Gardini mira decisamente a fare a conoscere al lettore appassionato di poesia una scrittura in versi varia, ricca di sfumature estetiche e autobiografiche, ma sempre dignitosa nella sua inesauribile ricerca della verità e nella sua aspirazione alla bellezza formale. Gardini si muove agevolmente attraverso varie epoche e correnti. Inaugura la serie delle riflessioni letterarie l’accostamento nella prima sezione di un singolare trio di poeti isolati del novecento mondiale, R. Browning, Kavafis, Mallarmé (“Autunno in ogni cosa. R. Browning”, 25-9; “Anche tu, Kavafis, sei un futurista”, 30-35; “Mallarmé nel Novecento”, 36-40). Si prosegue con le monografie dedicate a quattro figure interessanti di poeti critici, in grado di combinare intuizione lirica e riflessione teorica. Si tratta di Eliot, indagato in forma esemplare come teorico della poesia (“T.S. Eliot: idee sulla poesia”, 73-7); W. H. Auden (“The Dyer’s Hand. W.H. Auden”, 78-83); J. Brodsky, sceverato nelle componenti fonetiche e metriche innovative della sua poetica lirica, ricondotta ai sentence – sounds di Frost (“On Grief and Reason. J. Brodsky”, 84-8); O. Paz, promosso a simbolo della categoria del moderno, inteso come “era del solipsismo”, caratterizzata dall’abbandono della tradizione umanistica del passato, non compensato dal vago culto scientifico contemporaneo (“La otra voz”, 89-94). L’autore si concede una concisa ma stimolante galleria di rapidi ed intensi ritratti di lirici contemporanei tra cui spiccano quelli di R. Frost (“La musica nella solitudine. R. Frost”, 110-6; S. Plath (“Sylvia Plath giorno per giorno”, 117-24); J. L. Borges, rivalutato per la sua intensa e sperimentale produzione poetica ritenuta di pari livello rispetto a quella narrativa per vitalità di pensiero e importanza estetica (“L’Opera del Padre. J.L. Borges”, 131-9); W. H. Auden, del quale Gardini illustra una poetica fondata sulla parabola esistenziale e sulla ricerca della verità attraverso il medium lirico (“L’oscura trasparenza. W.H. Auden”, 145-50).

 

Gardini approda finalmente alla sezione per lui più familiare: quella relativa alle traduzioni di testi operate da poeti, in cui spiccano l’articolo dedicato alle versioni inglesi di Montale (cfr. Montale in inglese, pp.183-189) e, in relazione all’applicazione dei principi della intertestualità e della poetica comparata, il saggio riguardante le interferenze tra sfera creativa e dimensione culturale nella traduzione italiana realizzata da Giovanni Giudici dell’Eugenio Onieghin di Puskin (“Giudici e Puskin”,189-97). Un ampio capitolo è ovviamente riservato allo studio [fin de la page 450] del rapporto tra antico e nuovo nella lirica moderna, secondo una prospettiva storica ed evolutiva che privilegia la continuità della fortuna dei classici rispetto alle innovazioni tematiche (“Da Titiro a Orfeo. Ipotesi dell’antico nella lirica moderna”, 43-58); una menzione particolare merita la breve ma esauriente e corretta trattazione del tema delle traduzioni letterarie di Saffo nel Settecento e nell’Ottocento (“La cruna di Saffo”, 59-66).

 

L’impostazione tentata da Gardini presenta degli spunti di ricerca sui testi poetici e sulla loro fortuna decisamente validi e autorevoli, vista la sua collaudata esperienza come autore e traduttore di poesia. Si segnala in particolare la tendenza dichiarata ad estendere il concetto novecentesco di oscurità a brani lirici appartenenti ad epoche precedenti (16-17). Nuoce tuttavia al valore complessivo dell’opera lo spazio limitato concesso alle analisi linguistiche e semantiche dei brani presi in esame e inseriti in un ideale percorso antologico della poesia mondiale. Il saggio su The Dryer’s Hand di Auden, ad esempio, si sofferma molto su alcuni riferimenti teorici di portata culturale e psicoanalitica, ma sorvola con noncuranza sulle problematiche testuali e filologico – storiche proprie del brano in questione (78-83).

 

Anche il rapporto diretto tra due opere poetiche non viene a volte indagato con la dovuta attenzione agli aspetti filologici e prettamente intertestuali: si veda in proposito il saggio sulle affinità letterarie tra Browning e Montale (25-9). Gardini si rivela, per altro, molto abile nel sintetizzare le sue cognizioni in merito alla poesia classica, della quale è un noto ed apprezzato divulgatore e traduttore; a questo riguardo si segnala la brillante quanto concisa ripresa dei motivi estetici e linguistici fondamentali del Liber catullianus, equilibrata e riuscita nella sua misura sobria ed essenziale (“La parte di Catullo”, 67-70).

 

Un aspetto senz’altro probante dell’opera è rappresentato dalle dichiarazioni metodologiche introduttive. I principali ascendenti critici riguardano la teoria della lirica moderna formulata indipendentemente da Friedrich e da Lotman, che viene felicemente ritoccata da puntuali riferimenti filosofici ad Heidegger e a Jakobson. Gardini allude implicitamente ai suoi modelli preferiti, senza citarli apertamente per una precisa scelta strategica di apparente neutralità rispetto al dibattito teorico novecentesco. Egli postula un principio fondamentale che attraversa incolume tutta la complessa e variegata serie di itinerari interpretativi monografici ospitati nella miscellanea:

 

All’immagine poetica hanno dedicato molte riflessioni soprattutto i movimenti d’avanguardia (imagismo, futurismo, surrealismo). Ma la creazione di immagini è un’attività fondamentale di tutti poeti, anche di quelli meno determinati alla formalizzazione di una poetica o di una teoria dell’immagine.... Un’immagine è sempre parte di un sistema (imagery), [fin de la page 451] che la determina e sua volta è determinato da essa.... Nell’immagine il poeta condensa la sua idea del mondo e della sua scrittura....  L’immagine, si può dire, è l’essere - nel - mondo della poesia – anche se quel mondo è ipotizzato e contenuto nella stessa poesia che presuppone di entrarvi o di esserne una parte. In questo l’esercizio poetico rivela le sue smanie di onnipotenza e può ambire allo statuto di attività autoreferenziale – uno statuto comunque relativo che, per ottenere la supremazia, deve appoggiarsi sull’accettazione e sulla legittimazione negativa di una realtà extralinguistica. (17-18)

 

Anche in questa distinzione tra immagine [image] poetica e sistema letterario, culturale e iconografico che la genera [imagery], Gardini manifesta la lucida integrazione tra l’attività creativa e la coscienza critica che rimane presente per quasi tutto il libro. Solo in alcune circostanze, la coerenza della sua linea saggistica appare insidiata da alterni rimandi a testi situati in diverse collocazioni culturali e letterarie che tendono a disperdere il discorso unitario in una serie di episodici anche se compiuti frammenti critici. Si pensi ad esempio alla serie di citazioni di scrittori, artisti e poeti, suggestive ma anche spiazzanti, che si addensano in un passo del suo intervento su Ashbery, in relazione ai molteplici e disorientanti bersagli polemici presi di mira da questo poeta americano sperimentale: ennesimo esempio, secondo Gardini, di ingegno ribelle ma ispirato, fautore entusiasta della sacralità oggettiva della poesia e dunque insofferente, persino caustico nei confronti

dei compassati canoni letterari del suo tempo (“Il presente della poesia. J. Ashbery”, 125-6).

 

            Nicola Bietolini

            Univesità di Roma “La Sapienza”