LITTERAE
Multilingual literary magazine

Margaret Atwood:

Momenti significativi della vita di mia madre

Quando mia madre era ancora molto piccola, le venne regalata per Pasqua una cesta piena di pulcini. Morirono tutti.

A Non sapevo che non si potessero prendere in mano,@ dice. A Poveri piccini, li ho disposti tutti in bell'ordine su un=asse, con le zampette che sporgevano fuori rigide come pali e ho pianto tutte le mie lacrime. Li avevo amati da morire.@

Forse con questa storia mia madre intende fornire a noi figli un esempio della sua stupidità nonché sentimentalismo: è comunque sottinteso che non rifarebbe oggi una cosa simile. Oppure potrebbe trattarsi di una riflessione sulla natura dell=amore, benché, conoscendo mia madre, ciò sia improbabile.

II padre di mia madre era medico condotto in campagna. A quei tempi le automobili non esistevano ancora e lui girava per la sua zona con un calesse a cavalli, oppure, dato che non esistevano nemmeno gli spazzaneve, si avventurava nel cuore della notte in slitta a cavalli, sfidando bufere di neve e temporali, fino a case illuminate da lampade a petrolio, dove avrebbe trovato acqua a bollire sul fornello a legna e coperte di flanella che si intiepidivano sulla rastrelliera delle stoviglie: tutto questo per far nascere bambini che si sarebbero di conseguenza chiamati col suo nome.

Il nonno aveva 1'ambulatorio in casa: vi si accedeva dalla veranda sul fronte della casa, e da bambina mia madre assisteva all'arrivo di gente che si stringeva addosso parti del proprio corpo recise in un incidente: pollici, orecchie, nasi, dita delle mani e dei piedi.

Premevano le parti al moncone come si fosse trattato di pasta da pane che si poteva dappiccicare, nella speranza quasi sempre vana che mio nonno fosse in grado di ricucirgliele addosso, ovviando così agli squarci provocati da asce, seghe, coltelli nonché dal destino.

Mia madre e la sua sorellina più piccola gironzolavano nei pressi dell'ambulatorio finché non ne venivano scacciate via. Da dietro la porta chiusa provenivano gemiti, urla soffocate, grida di aiuto: per mia madre gli ospedali non sono mai stati luoghi mondani, né la malattia un'occasione di riposo o vacanza. ANon bisogna ammalarsi mai,@ dice, e lo intende propio: lei difatti non si ammala quasi mai. Una volta però le si perforò l'appendice e fu lì lì per morire, così che mio nonno dovette operarla. Più tardi disse che non era la persona più adatta a farlo: gli tremavano troppo le mani. È questa una delle poche ammissioni di debolezza da parte sua, e anche una delle poche che mia madre riferisca, perchè in genere il nonno viene dipinto come severo e sempre padrone della situazione. ALo rispettavano tutti, però,@ dice mia rnadre, Aera unanimamente rispettato.@ Parola, questa, che è scesa di un po' nella graduatoria di valori dai tempi della giovinezza di mia madre: allora veniva tenuta in maggior considerazione di Aamore@ stesso.

Fu qualcun altro a raccontarmi la storia dell'allevamento di topi muschiati di mio nonno, di quando lui e uno zio di mia madre recintarono il terreno paludoso sul retro della proprietà e investirono i risparmi della zia nubile di mia madre in topi muschiati. L=idea era di farli moltiplicare per poi trasformarli in pellicce, ma il coltivatore di mele che confinava con loro sciacquò i suoi attrezzi per spruzzare 1'insetticida a monte del ruscello, così i topi finirono tutti morti avvelenati, e siccome ciò accadde durante la Depressione, non fu uno scherzo.

Quando erano giovani.- credo cioè intorno ai sette-otto anni, anche se il termine copre oggi una fascia motto vasta - mia madre e sua sorella avevano una casetta su un albero dove passavano parte del loro tempo a dare feste per le bambole e così via. Un giorno, fuori dall'armadietto dei medicinali di mio nonno, trovarono una scatola di graziose bottigliette che qualcuno aveva buttato via. Mia madre, che ha sempre odiato gli sprechi, pensò di impadronirsene per giocarci con sua sorella nella casa delle bambole. Le bottigliette erano piene di un liquido giallo che lasciarono dentro perchè era così carino: si scoprì poi che si trattava di campioni di urina. ACe ne hanno dette di cotte e di crude, per questo,@ racconta mia madre, Ama cosa ne sapevamo noi?@

Mia madre e la sua famiglia vivevano nella Nuova Scozia, in una grande casa bianca vicina a un meleto. La casa aveva un granaio, una rimessa per le carrozze, e una grande dispensa in cucina. Mia madre si ricorda di quando non esistevano ancora le panetterie, e il pane veniva fatto tutto in casa con farina che si acquistava a bardi. Ricordo anche la prima pubblicità radiofonica che udì, una canzoncina che reclamizzava dei calzini.

La casa aveva numerose stanze, non saprei dire quante, benché ci sia stata di persona e 1'abbia vista con i miei occhi. Alcune zone erano sbarrate, o almeno così pareva; c'erano scale di servizio e passaggi che conducevano da altre parti. Nella casa abitavano cinque bambini, due genitori, un uomo e una donna di servizio i cui nomi e le cui facce continuavano a cambiare. L=ordinamento della casa era gerarchico, con mio nonno in cima, ma la sua vita segreta - la vita degli avanzi di torta, delle lenzuole pulite, della scatola di stracci nell'armadio della biancheria, delle pagnotte nel forno.- era femminile. Era come se una corrente sotterranea la percorresse, e tutti gli oggetti contenuti in essa crepitavano di elettricita statica. L=aria era greve di cose risapute e non dette: come un tronco cavo, un tamburo o una chiesa, la casa fungeva da amplificatore, e ancora oggi vi si possono cogliere gli echi di conversazioni bisbigliatevi ses-
sant'anni fa.

In questa casa si doveva restare seduti a tavola finché non si era mangiato tutto quello che c'era nel piatto. Mia madre racconta: ALa mamma diceva sempre, >Pensate agli Armeni che non hanno niente da mangiare,= e io non vedevo come potessi essergli minimamente d'aiuto finendo le mie croste di pane.@

Fu in questa casa che vidi per la prima volta dell'avena in vaso, ogni singolo gambo accuratamente avvolto in preziosa stagnola ricavata dalle carte dei cioccolatini. Mi sernbrò la cosa più bella che avessi mai visto, così cominciai anch'io a mettere da parte la stagnola, ma non arrivai mai ad avvolgervi gambi d'avena, né d'altra parte avrei saputo come fare: come rnolte altre forme artistiche di civilta in estinzione, anche questa tecnica è andata perduta, e non c'é modo di riprodurla oggi esattamente uguale.

A Per Natale ci regalavano delie arance,@ ricorda mia madre. AVenivano nientemeno che dalla Florida, ed erano molto care. Era tutta lì la gran festa: trovare un'arancia nella punta della calza. Se ci penso adesso, mi sembra strano che ci paressero così buone.@

Mentre le donne cominciavano a tagliarsi i capelli a caschetto - si era prossimi agli anni venti - mia madre a sedici anni aveva capelli così lunghi che poteva sedercisi sopra. Le procuravano frequenti mal di testa, ma mio nonno, che era molto severo, non le permetteva di tagliarli.

Mia madre al'ora aspettò un sabato che lui aveva appuntamento dal dentista. AA quei tempi non si usava 1'anestesia,@ racconta. AIl trapano veniva azionato a pedale e faceva grr, grr, grr. Anche il denttista aveva i denti neri perchè masticava tabacco, e mentre era lì che lavorava ai tuoi denti sputava sugo di tabacco nella sputacchiera.@ E qui mia madre, che è una buona imitatrice, imita il rumore del trapano e dello sputo: ARrrr! Rrrr!. Rrrr! Pciù Rrrr! Pciù! Era una vera e propria agonia. È stata una benedizione del cielo, 1'anestesia.@

Mia madre si recò dunque nell'ambulatorio del dentista dove, pallido di dolore, stava seduto rnio nonno. Gli chiese se poteva tagliarsi i capelli, e mio nonno rispose che poteva fare quell'accidenti che voleva, purché se ne andasse di lì e la smettesse di tormentarlo.

AAlora me ne andai via di corsa e me li feci tagliare di netto,@ dice mia madre spavaida. AIl nonno dopo si infuriò, rna cosa poteva farci ormai? E poi aveva dato la sua parola.

I miei, invece, di capelli, giacciono nella cantina di mia madre, dentro una scatola di cartone che si trova a sua' volta all'interno di una cassapanca da piroscafo. Me li immggino farsi sempre più fraggili e sbiaditi man mano che gli anni passano, tanto che ormai avranno 1'aspetto delle spirali di capelli racchiuse entro i gioielli da lutto vittoriani.

Me li tagliarono, con mio grande sollievo, a dodici anni, quando nacque mia sorella: prima li portavo lunghi e tutti ricci. ASe non li avessimo tagliati sarebbero diventati un groviglio unico,@ dice mia madre. Ogni mattina, per pettinarli, se li arrotolava intorno all'indice ma, mentre era in ospedale, mio padre non sapeva come fare. ANon poteva certo attorcigliarli intorno alle sue dita tozze,@ dice mia madre, mentre mio padre si guarda le dita. In effetti sono grosse, in confronto a quelle lunghe ed eleganti di mia madre, che lei si ostina a chiamare ossute. Mio padre sorride sornione.

Comunque stessero le cose, fui tosata. Ero seduta li, nel primo salone di bellezza della mia vita, e vedevo i capelli cadermi giù per le spalle a manciate, come ragnatele, mentre la testa da sotto cominciava a delinearsi più piccola e folta e la faccia sembrava più spigolosa. Invecchiai di cinque anni in cinque minuti: sapevo benissimo che sarei potuta andare a casa e provare il mio primo rossetto.

ATuo padre ci rimase male,@ dice mia madre con aria complice: omette sempre questo commento quando mio padre è presente. Sorridiamo tutte e due alle strane reazioni degli uomini ai capelli.

Mi ero fatta 1'idea che rnia madre avesse passato la giovinezza tra continue risate e avventure da far rizzare i capelli. Questo prima di rendermi conto che non parlava mai dei lunghi periodi privi di eventi che devono averne costituito la maggior parte e di cui le storie che racconta - cavalli che scappavano con lei in groppa, proposte di matrimonio, continue cadute da alberi e parapetti di granai, maree che per poco non la travolgono o, in chiave minore, episodi inconsueti ma tali da procurare acuto imbarazzo - non sono che episodi occasionali. Le chiese erano tra i luoghi più pericolosi: AUna domenica - naturalmente dovevamo andare in chiesa tutte le domeniche - viene nella nostra chiesa un famoso predicatore. Eccolo lì, nel pieno della sua carriera, che minaccia le flamme defi'inferno e l'eterna dannazione a tutti noi quando, plop, gli parte la dentiera di bocca in questo modo. Bene, non si perde d'animo, allunga il braccio, la afferra, se la rimette in bocca e continua a condannarci tutti all'eterno tormento come se niente fosse.

Il banco tremava tutto, i lacrimoni ci rigavano le guance, ma niente da fare, eravamo in prima fila, e il predicatore teneva gli occhi fissi proprio su di noi. Non potevamo certo ridere forte, o all'inferno ci avrebbe spedito nostro padre.@

Il salotti altrui, così come ogni altra occasione mondana o ufficiale, erano per mia madre terreno minato: le cerniere le si aprivano sempre proprio dove non dovevano, per non parlare dei cappelli che erano totalmente inaffidabili. Durante la guerra poi, per via della mancanza di vero elastico, si viveva in uno stato di tensione continua: le mutande allora erano sostenute da bottoni, e questo le rendeva più scandalose e dunque più significative di adesso. AEri lì che camminavi nel bel mezzo della strada e ancora prima di accorgertene te le ritrovavi avvolte intorno alle galosce. Allora si faceva così: con un piede si faceva un passo avanti per uscirne fuori, con 1'altro le si scalciava in su e quindi le si nascondeva velocissimamente nella borsa. Ero diventata piuttosto brava a farlo.@

Questa storia viene raccontata solo a pochi intimi, mentre le altre sono ad uso e consumo dei più. Mentre le racconta, la faccia di mia madre sembra di gomma: fa le parti di tutti i personaggi, aggiunge gli effetti sonori, agita in aria le mani. Gli occhi le brillano, a volte maliziosamente, perchè, benché sia dolce e vecchia e signora, tuttavia non è una dolce vecchia signora, e se qualcuno la prende per tale, subito lo spiazza con qualcosa di inaspettato: non vuole assolutamente che la si dia per scontata.

Ma c'è qualcosa che non si può fare: cercare di convincerla a raccontare storie quando non ne ha voglia. Se la si sollecita, si fa tutta sussiegosa e si chiude a riccio, oppure ride e si ritira in cucina da dove, di lì a poco, si sente provenire il ronzio del frullatore. È da tempo che non insisto più perchè alle feste si esibisca nei giochi di prestigio. In occasione di riunioni digente che non conosce si limita ad ascoltare attentamente, la testa leggermente piegata di lato e un sorriso cortese stampato sulla faccia. Il segreto è aspettare di sentire i comnmenti dopo.

All'età di diciassette anni rnia madre frequentava la Scuola Normale di Truro. Questo nome, Scuola Normale, aveva una volta per me qualcosa di magico. Pensavo che c'entrasse con 1'imparare a essere normali, e forse non era un'idea del tutto sbagliata, dal momento che era il posto dove si andava se si voleva diventare insegnanti. Una volta diplomata, mia madre prese ad insegnare in una scuola di un unica stanza, poco lontano da dove abitava. Tutti i giorni andava avanti e indietro da scuola a cavallo, e, con i soldi guadagnati, riuscì a pagarsi 1'università. Fosse stato per mio nonno,' non ce 1'avrebbe mandata, diceva che aveva un cervello troppo frivolo, le piaceva troppo ballare e pattinare, per i suoi gusti.

Ai tempi delia Scuola Normale rnia madre era a pensione presso una famiglia con numerosi figli, alcuni dei quali avevano all'incirca la stessa età delle ragazze ospitate. All'ora di pranzo si riunivano tutti intorno ad un grande tavolo - che m'immagino di legno scuro e con pesanti gambe intagliate, ma sempre ricoperto da una tovaglia di lino candido - mentre il padre e la madre presiedevano ciascuno dal proprio capo del tavolo. Questi ultimi me li immagino rosa, tondi e tutti luccicanti. AI ragazzi erano dei gran burloni,@ dice mia madre, A ne avevano sempre in mente una.@ Essere dei gran burloni, averne sempre in mente una, era una qualita apprezzabile, per dei ragazzi. Ma madre aggiunge una frase illuminante: ACi divertivamo un mondo.@

Mia madre si è sempre divertita il più possibile e divertirsi un mondo è sernpre stato ai primi posti nei suoi programmi, ma per capire che cosa intenda con questa espressione, bisogna fare la dovuta tara, tenere presente il grande abisso che essa ha attraversato per giungere fino a noi. Viene infatti da un altro mondo che, come le stelle da cui ha origine la luce che vediamo oggi tremolare incerta nel cielo notturno, sta scomparendo o forse è già scornparso.

Di questo mondo è possibile ricostruire l'evidenza - i mobili, le fogge di abgigliamento, i soprammobili che si mettevano s'ul camino, le brocche e le bacinelle, persino i vasi da notte nelle camere da letto - ma non le emozioni, a meno di non escludere gran parte di quanto si sa e si sente oggi, e comunque mai con la stessa esattezza.

Era un mondo, quello, in cui era possibile flirtare pur restando innocenti, perchè le brave ragazze certe cose sempficemente non le facevano, e allora quasi tutte le ragazze erano brave. Deviare'dalla retta via non significava solo allontanarsi dalla grazia divina: 1'atto sessuale infatti, almeno per le ragazze, aveva conseguenze materiali. La vita allora era più gioiosa ed innocente, ma, al tempo stesso, molto più compenetrata di paura e peccato, per i quali non mancavano occasion nemmeno al più piatto livello quotidiano. D'altra parte però, come in un haiku giapponese, entro forme fisse e delimitate da rigidi perimetri, era possibile un'incredibile liberta.

Le foto di mia madre a quell'epoca la ritraggono a braccetto con altre tre o quattro ragazze; in altre foto le stesse ragazze, per scherzo, si cingono reciprocamente il collo con le braccia. Dietro di loro, oltre il mare o le colline, poco importa lo sfondo, un mondo che, a loro insaputa, sta già avviandosi a passi da gigante verso la distruzione: la teoria della relatività è gia stata inventata, le piogge acide vanno intaccando le radici degli alberi e le rane toro sono già in via di estinzione. Ma le ragazze continuano a sorridere con un'espressione che, giudicata adesso, potrebbe definirsi coraggiosa, la gamba destra alzata in una parodia delle ballerine di fila.

Uno dei più grandi divertimenti per le ragazze a pensione e i figli della famiglia che le ospitava consisteva nell'organizzare spettacolini teatrali. Era comune per i giovani di allora - perchè così li si chiamava, non adolescenti o teen-ager - prendere parte a drammi e commedie che venivano allestiti nello scantinato delia chiesa. Mia madre stessa recitava regolarmente, e conservo ancora da qualche parte in casa un pacco di copioni ingialliti - tutte commedie e tutte incomprensibili - con le parti di mia madre contrassegnate a matita. AAllora non c'era la televisione,@ dice mia madre, Ae il divertimento bisognava fabbricarselo da sé.@

Per una di queste commedie occorreva un gatto, così mia madre e uno dei ragazzi presero a prestito il gatto di casa. Lo misero in un sacco ed andarono in macchina - erano state inventate nel frattempo - alle prove. Il gatto, che era in grembo a mia madre, dalla paura fece una pipi così copiosa che oltrepassò il sacco dilagando sulla sua gonna, e contemporaneamente emise il peggio odore immaginabde. AAvrei voluto sprofondate,@ racconta mia madre, Ama cosa potevo farci? Non potevo far altro che starmene lì. A quei tempi cose del genere@ - e qui intende pipi di gatto o qualunque altro tipo di pipi - Anon si nominavano neppure.@ In comgnia mista, intende.

Penso a rnia madre trasportata in macchina nella notte, rossa di vergogna e con la gonna gocciolante, mentre il giovanotto accanto a lei continua a guidare impettito, facendo finta di non essersi accorto di niente. Entrambi sentono che questo innominabile atto di minzione é stato commesso, non dal gatto, ma da mia madre.

E così proseguono diritti, oltre l'Atlantico, oltre la curva della terra 1'orbita della luna fino ai bui recessi al di là da questa. Nel frattempo mia madre, di ritorno sulla terra, aggiunge: AMi toccò buttar via la gonna. Pensare che era una gonna buona, ma niente da fare, non ci fu modo di togliere 1'odore.@

A Ho sentito tuo padre imprecare una sola volta,@ dice mia madre. Quanto a lei, non dice mai parolacce. Quando arriva a un punto in una storia che ne presuppose 1'uso, dice APerdindirindina,@ oppure, APuntini, puntini ...@

AQuaddo si è schiacciato il dito, nello scavare il pozzo per la pompa ...@ Questa storia, lo so, ha avuto luogo prima della mia nascita, ed è avvenuta lassù nel Nord, dove sotto gli alberi e le loro chiome non si trova altro che roccia ricoperta da uno strato di sabbia. Mio padre stava scavando un pozzo per una pompa a mano che, a sua volta, doveva servire per la prima delle molte case e baracche che i miei avrebbero costruito insieme. Più tardi mi é capitato di assistere parecchie volte alla perforazione di pozzi e alla conseguente installazione di pompe a mano, dunque so come si fa: si prende un tubo che termina ad un'estremita con una punta, lo si fa penetrare nel terreno battendolo con un maglio, poi, man mano che il tubo va giù, gli si avvitano sopra altri pezzi di tubo, e così fino a incontrare 1'acqua potabile. Per evitare di rovinare la filettatura all'estremità superiore del tubo, tra questo e il maglio si tiene un pezzo di legno, o meglio ancora lo si fa tenere da qualcun attro. Ecco com=è che mio padre si schiacciato il dito: faceva tutte e due le cose, martellava e contemporaneamente reggeva il pezzo di legno.

ASi gonfiò come un ravanello,@ racconta mia madre, Atanto che tuo padre si dovette fare un buco nell'unghia con un punteruolo per alleviare la pressione: il sangue sprizzò fuori come i semi da un limone. Poi 1'unghia divenne tutta viola e nera, e infine cadde. Per fortuna gliene crebbe un'altra: dicono che le unghie possono crescere solo due volte. Ma quando si schiacciò il dito le urla si sentirono per chilemetri intorno. Non sapevo nemmeno che conoscesse quelle parole. Chissà dove le ha imparate.@ Ne parla come di una malattia infettiva non troppo grave, che so, una varicella.

A questo punto mio padre abbassa modestamente lo sguardo nel piatto. Per lui il mondo si divide in due: da una parte il mondo delle signore con le quali certe espressioni non si usano, dall'altra un mondo fatto di spedizioni nellia foresta per il taglio degli alberi e simili avventure della sua giovinezza, nonché di compagnie maschili del giusto tipo, nel quale tali espressioni si usano.

Fare delle commistioni verbali tra il mondo delle signore e quello degli uomini è da zoticoni maleducati, mentre viceversa, trasportare 1'universo femminile in quello maschile bolla immediatamente chi lo fa da femminuccia o peggio ancora da finocchio: non c'è altro termine per definirlo e tra uomini lo si sa benissimo, anche se non lo si dice apertamente.

Questa storia sta a dimostrare due cose: in primo luogo che mio padre non è un finocchio, secondariamente che mia madre si è cornportata nel modo giusto mostrandosi doverosamente sorpresa. Ma gli occhi le scintillano ancora di piacere quando narra questo episodio. Dentro di sé trova strano, infatti, che mio padre si sia fatto cogliere in fallo, anche se per una sola volta. Dell'unghia caduta, particolare secondario sotto tutti i punti di vista, non viene detto più niente.

Ci sono alcune storie che mia madre non racconta mai quando sono presenti degli uomini, e tantomeno a tavola o alle feste. Le racconta solo alle donne, a bassa voce e generalmente in cucina, mentre la aiutano,(o la aiutiamo) a lavare i piatti, sgranare i piselli, spuntare i fagiolini o scartocciare le pannocchie. Non implicano gesticolazione né effetti sonori: sono storie di tradimenti romantici, gravidanze indesiderate, malattie delle specie piùi varie ma tutte orribili, infedelta coniugali, esaurimenti nervosi, suicidi tragici e agonie che si prolungano oltre il dovuto. Non sono ricche di particolari o fitte di incidenti; si limitano alla cruda realta dei fatti. Le donne assentono gravemente col capio, le mani impegnate coi piatti sporchi o le bucce delle verdure.

È sottinteso che molte di queste storie non devono essere riferite, a mio padre per non deprimerlo: è risaputo infatti che le donne reggono certe cose motto meglio degli uomini. Agli uomini non si deve mai dire niente che li turbi troppo.: i segreti abissi della natura umana, le crude realtà corporali sono troppo per loro, e rischiano di sopraffarli. Gli uomini, per esempio, non essendo abituati alla vista del sangue, spesso svengono quando vedono il loro. È per questo motivo che, quando si va alla Croce Rossa a donare il sangue, non ci si deve mai mettere in fila dietro a un uomo.

Gli uomini, per qualche misteriosa ragione, trovano la vita più difficfle delle donne. (Di questo mia madre è fermamente convinta, nonostante che le sue storie siano pieni di corpi di donna intrappolati, malati, scomparsi o abbandonati). Bisogna lasciare giocare gli uomini, il più placidamente e tranquillamente possible, nel campetto di giochi che si sono scelti, altrimenti diventano noiosi e rifiutano il cibo. C'è tutta una serie di cose che gli uomini non sono in grado di capire, dunque perchè pretenderlo? Benché non tutte le donne condividano questa opinone sugli uomini, bisogna pur ammettere che ha una sua utilità pratica.

AHa persino divelto i cespugli intomo a casa,@ dice mia madre. Questa è roba seria, la storia di un matrimonio.andato in frantumi. Mia madre dilata gli occhi, le altre donne si sporgono in avanti. ANon gli ha lasciato altro che le tendine della doccia.@ Mio padre entra in cucina per vedere se è finalmente pronto il tè: le donne serrano i ranghi, volgendogli volti sorridenti e falsarnente inespressivi. Di lì a poco mia madre emerge dalla cucina con in mano la teiera, che appoggia sul tavolo secondo il solito rituale.

AMi ricordo di quella volta che per poco non moriamo tutti,@ dice mia madre. Molte delle sue storie cominciano così, e quando è in un certo stato d'animo sembra volerci convincere che è solo grazie ad una serie di fortunate e straordinaric circostanze che siamo ancora vivi, altrimenti a quest'ora tutta la famiglia, sia a livello di singoli che collettivamente, sarebbe già morta e sepolta. Queste storie, oltre che a produrre adrenalina, servono anche a tener vivo il nostro senso di gratitudine. C'è per esempio la volta che eravamo in canoa con la nebbia e per poco non finiamo giù per una cascata, 1'altra che a momenti restiamo intrappolati nell'incendio di una foresta, poi la volta che mio padre ha rischiato di rimanere schiacciato, proprio davanti ai suoi occhi, sotto un palo che stava rimettendo a posto; e infine la volta che mio fratello per un pelo non viene colpito da un fulmine, abbattutosi così vicino da scagliarlo a terra. ASi sentiva lo sfrigolio,@ dice mia madre.

Ecco la storia del carro di fieno, così come la racconta lei: AVostro padre stava guidando alla sua solita velocità,@ - cioè troppo forte - Avoi bambini eravate dietro ...@ Ricordo quel giorno, e quindi ricordo anche quanti anni avevamo sia io che mio fratello: abbastanza da pensare che era 'divertente far arrabbiare mio padre cantando canzoni popolari del tipo che lui più detestava, ad esempio ALa collina del merlo parlante,@, o imitando il suono della cornamusa. Per fare questo si doveva cantare con il naso e la bocca chiusi, mentre con la punta delle dita ci si percuoteva il pomo d'Adamo. Quando diventavamo troppo fastidiosi mio padre ci diceva AVia le cornamuse, adesso,@ e noi pensavamo che scherzasse, non eravamo ancora abbastanza grandi da capire che la sua irritazione poteva essere reale. AStavamo andando gia per una discesa molto ripida,@ continuà mia madre, Aquando improvvisamente, in fondo alla discesa, ci si para davanti un carro di fieno che va ad occupare proprio il centro della strada. Vostro padre frena, ma non succede niente: i freni erano andati! Ho pensato che fosse giunta la nostra ultima ora.@ Per fortuna il carro proseguì dritto in mezzo alla strada e noi lo sorpassammo di lato alla velocita della luce, mancandolo di solo pochi centimetri. AAvevo il cuore in gola,@ conclude mia madre.

Io mi resi conto solo dopo di che cos'era successo. Me ne stavo seduta dietro ignara, a imitare il suono della cornamusa, e la scena era la solita dei viaggi in macchina: le teste dei miei genitori che sporgevano dai sedili anteriori, mio padre col cappello in testa - lo stesso che indossava per ripararsi da quello che poteva eventualmente cadere dagli alberi - la mano di mia madre gentilmente appoggiata alla base del collo di lui.

AAvevi un odorato così sensible, quando eri piccola ...@ dice mia madre.

Adesso siamo su un terreno pin scivoloso, perchè un conto è l=infanzia di mia madre, un altro la mia. È infatti il momento in cui mi metto a far rumore sbattendo l'argenteria o a chiedere ancora un'altra tazza di té. AAndavamo in casa d' altri e tu dicevi ad alta voce 'Che cos'è questo strano odore?'@ Se ci sono degli ospiti si scostano un po= da me, consci delle loro proprie emanazioni, cercando di non guardarmi il naso.

AMi mettevi talmente in imbarazzo...@ aggiunge mia madre come sovrappensiero. Poi cambia tono: AEri una bambina che davi così pochi problem! ... Di solito ti svegliavi alle sei e mezza di mattina, ti mettevi a giocare tutta sola nella tua stanza dei giochi e cantavi, cantavi ...@ Qui mia madre fa una pausa: una voce lontana, la mia, risuona per un attimo acuta e argentine tra me e lei.

AParlavi in continuazione, non facevi altro che chiacchicrare dalla mattina alla sera.@ Mia madre sospira impercettibilmente, quasi a chiedersi come mai io sia diventata così silenziosa, poi si alza e va ad attizzare il fuoco.

Sperando di farle cambiare soggetto le chiedo come mai i crochi non sono ancora spuntati, ma lei non si lascia sviare. ANon c'è mai stato bisogno di sculacciarti,@ prosegue, Abastava un a parola severa e ti mettevi subito buona.@ Mi guarda di sfuggita; non sa bene cosa sono diventata, né in che modo. ACi sono state solo un paio di volte ... una è quando sono dovuta uscire e vi ho lasciato soli con vostro padre.@ (Forse è questo il vero punto della storia: l'incapacita degli uomini di badare da soli ai bambini piccoli). AAl ritorno dalla strada, cosa vedo? Tu e tuo fratello che, dalla finestra di sopra, prendevate a palle di fango un vecchietto ...@ Sappiamo tutte le due di chi fu l'idea. Per mia madre la corretta interpretazione da attribuirsi a questo episodio è che mio fratello era una peste e io la sua ombra, Afacilmente influenzabile,@ come dice lei, e aggiunge: AEri creta, nelle sue mani. Naturalmente ho dovuto punirvi tutti e due allo stesso modo,@ dice. Naturalmente. Le sorrido per dimostrarle che non ce 1'ho con lei. La verita è che ero più infida di mio fratello e non mi facevo cogliere altrettanto spesso con le mani nel sacco. Se appena si poteva evitare, nessun attacco frontale alle linee nemiche, sempre pronte ad accoglierti con i fucili spianati. I miei solitari atti di rnalvagità erano molto meno diretti e ben dissimulati: solo in combutta con mio fratello gettavo al vento la mia cautela.

ATi faceva su come voleva,@ dice mia madre. AVostro padre vi aveva fatto una scatola dei giochi per ciascuno, e la regola era - mia madre è sempre stata bravissima a inventare regole - che nessuno poteva tirare fuori i giochi dalla scatola dell'altro senza chedere il permesso: tuo fratello altrimenti te li avrebbe presi tutti. Ma te li prendeva lo stesso, bada bene. Ti convinceva a giocare alia mamma, e lui faceva il bebè. Poi faceva finta di piangere, così tu gli doman- davi cosa voleva, e lui allota ti chiedeva uno qualunque dei tuoi giocattoli con cui lui voleva giocare in quel momento. E finiva che tu glielo davi sempre.@

Non mi ricordo di questo, mentre mi ricordo di aver messo in scena la seconda guerra mondiale sul pavimento del salotto con armate di orsacchiotti e conigli di pezza, ma è possibile che episodi del genere abbiano gettato le basi delle mie strutture primarie. È possibde che queste prime esperienze della scatola dei giochi - già il concetto di Ascatola dei giochi@ è gravido di implicazioni - mi abbiano reso diffidente al tempo stesso sensibile agli uomini che vogliono la mamma. E forse sono stata condizionata a credere che se non sono sollecita e accogliente, una inesauribile cornucopia di delizie e piacevolezze, se ne andranno nei boschi a giocare per conto loro ai cacciatori prendendosi su il loro orsacchiotto tutto spelacchiato e la loro collezione di tappi di latte. Può darsi che quello che per mia madre è solo un tenero episodio per me sia stato letale.

Ma non è questa 1'unica storia a proposito della mia credulità e tendenza a farmi sfruttare che mia madre racconti: segue in genere il colpo di grazia, la storia dei biscotti a forma di coniglietto.

AEravamo ad Ottawa,@ dice mia madre, Aed ero stata invitata ad un ricevimento ufficiale.@ Già questo contiene in sé un elemento di orrore: mia madre infatti ha sempre detestato le occasions ufficiali, alle quali era tuttavia obbligato a partecipare come moglie di un funzionario statale. ADovetti tirarmi dietro anche voi bambini: non è che potessimo perrnetter'ci tutte queste baby sitter a quei tempi.@ L=ospite aveva preparato un intero vassoio di pasticcini tutti colorati e decorati, nel caso venissero dei bambini, e mia madre procede a descriverli: degli stupendi biscotti a forma di coniglietto, con la faccia ed i vestiti di zucchero colorato, minuscule gonne per le conigliette e calzoncini per i maschietti. ATu ne scegliesti uno,@ dice mia madre, Ae ti rifugiasti tutta sola in un angolo. La signora X ti vide e ti venne accanto: >Non mangi il tuo biscotto?' ti chiese. E tu: 'Oh no, voglio solo sedermi qua e parlarci un po'. Poi ti sedesti, felice come una Pasqua. Ma qualcuno aveva fatto 1'errore di lasciare il piatto di biscotti vicino a tuo fratello. Quando andarono di nuovo a vedere, non ne era rimasto neanche uno: lì aveva mangiati tutti. Ti assicuro che stette molto male, quelia notte.@

Alcune delle storie di mia madre sfidano qualunque analisi. Qual è la morale di questa? Che fossi un po tonta è abbastanza chiaro, d'altra parte chi ha avuto mal di stomaco è stato mio fratello. È meglio, materialisticamente parlando, mangiare il proprio cibo in modo semplice e diretto, e in maggior quantità possibile, oppure nascondersi in un angolo e parlarci? Prirna che mi sposassi, questa era una delle storie preferite di mia madre, e veniva soprattutto raccontata quando portavo a pranzo a casa quelli che mio padre chiamava Ai porci.@ Insieme al dessert, mia madre serviva anche la storia dei biscotti a forma di coniglietto. Che cosa potevano ricavare i porci da una storia come questa? Serviva forse a mettere in luce, così che loro potessero valutarla, la mia essenziale femminilita e delicatezza d'animo? Oppure veniva loro indirettamente suggerito che ero innocua, che da me potevano aspettarsi dei rimproveri, ma non di essere divorati? O mia madre cercava forse in qualche modo di metterli in guardia?

Perchè c'era qualcosa di vagamente folle nel mio comportamento. Sarei potuta diventare quel tipo di persona che improvvisamente balza dal tavola gridando, ANon mangiarlo! È vivo!@ Comunque a volte, ascoltando mia madre, mi sovviene che non sempre si puo interpretare tutto in chiave simbolica.

ALa prossima volta che mi reincarno, A disse un giorno mia madre, Avoglio fare 1'archeologa e andarmene in giro a portare alla luce degli oggetti.@

Eravamo sedute sul letto che era stato un tempo di mio frateflo, poi mio, poi di mia sorella, e stavamo scegliendo da uno dei bauli le cose da dare in beneficenza e quelle da gettare. Mia madre è convinta che in genere si può scegliere cosa conservare del passato.

All'epoca.qualcosa andava storto in famiglia, uno dei suoi membri non era felice, e mia madre era arrabbiata: tutta la sua buona volontà e il suo buon umore non erano serviti a niente.

La sua affermazione mi colse di sorpresa: era la prima volta che sentivo mia madre dire che avrebbe voluto essere diversa da com=era. Anche se a quel tempo dovevo avere all'incirca trentacinque anni, ci rimasi ugualmente male; e fui anche vagamente offesa nell'apprendere che forse mia madre non era stata completarnente felice nell'adempimento del ruolo che il destino le aveva assegnato: quello di essere mia madre. Quando si tratta di madri ritorniamo tutti dei poppanti, pensai.

Poco dopo divenni madre io stessa, e le mie sensazioni riguardo a questo episodio cambiarono.

Mentre pettinava i miei pressoché impossibili capelli, mia madre era solita leggermi delle storie. Molte sono ancora in casa da qualche parte, ma una è sparita: forse si trattava di un libro della biblioteca. Era la storia di una bambina così povera che aveva solo una patata per cena, ma mentre stava per arrostirla, li patata prendeva su e scappava. La bambina naturalmente le correva dietro, ma non mi riesce di ricordare come finiva la storia: una dimeticanza significativa.

AEra una delle tue storie preferite,@ dice mia madre, ancora adesso convinta che mi identificassi con la bambina a causa della sua fame e del suo senso di perdita, mentre in realtà mi identificavo con la patata. Le prime influenze sono importanti. A questa ci volle un po' per riaffiorare alla memoria, probabilmente non prima che avessi iniziato l'università, cominciato a indossare calze nere, acconciarmi i capelli in uno chignon e ad avere delle pretese. Sopravvenne alora un periodo di cupezza. La nostra vicina' più prossima, che badava molto ai vestiti, pungolava mia madre: ASe solo ci tenesse un po' di più, sarebbe 'abbastanza' graziosa.@

ATi tenevi sempre occupata,@ dice rnia madre caritatevolmente ricordando quel periodo. AAvevi sempre qualcosa che bolliva in pentola, un progetto di un qualche tipo.@

Fa parte della rnitologia di mia madre pensare che io sia altrettanto attiva e produttiva di lei, benché lei stessa ammetta che queste qualità possono anche offuscarsi, di quando in quando. In casa non mi era permesso mostrare più di un tanto di angoscia. Dovevo andarmene in cantinal dove mia madre non sarebbe venuta a distogliermi dalla musoneria suggerendomi una passeggiata all'aria aperta per migliorare la circolazione. Era il suo rimedio favorito non appena si manifestava il benché minimo sintomo di depressione.

Non c'era praticamente niente che una marcia a passo sostenuto tra le foglie morte, 1'ululare del vento e il nevischio non potesse curare. Ma io ero afflitta, me ne rendevo conto, dallo Aspirito del tempo,@ contro il quale tali semplici rimedi erano completamente inefficaci Facevo calare una densa ombra sulle giornate, e diffondevo qualcosa di malsano. Leggevo poesie moderne e storie di atrocita commesse dai nazisti, e presi anche 1'abitudine di bere caffè. Avvolta nella nebbia della distanza, mia madre mi passava 1'aspirapolvere intorno ai piedi, mentre io me ne stavo rannicchiata su una qualche sedia a studiare, avvolta in un plaid perchè improvvisamente avevo sempre freddo. Mia madre non ha molte storie da raccontare di quel periodo e, quanto a me, quello che ricordo è lo sguardo strano che ogni tanto coglievo nei suoi occhi.

Per la prima volta in vita mia mi sfiorò il pensiero che forse mia madre aveva paura di me, ma non potevo far niente per rassicurarla perchè non conoscevo 1'esatta natura della sua preoccupazione. Ci doveva comunque essere qualcosa in me che andava oltre la sua capacità di comprensione, come se si aspettasse da un momento all'altro che aprissi la bocca e cominciassi a parlare in una lingua che non conosceva. Ero diventata per lei un visitatore venuto da un altro mondo, un viaggiatore del tempo che tornava dal futuro con la notizia di un grande disastro.

FINE

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